Psicologa

Aspirazione alla superiorità, Compensazione e Supercompensazione

E’  noto come non fu la concezione di Adler sulla pulsione aggressiva il vero motivo della scissione con il suo maestro Freud; esso può essere invece individuato nel concetto di protesta virile.

Ma che cos’è la protesta virile? In sintesi potremmo dire che “è la tendenza fondamentale ad affermare le attitudini e gli atteggiamenti maschili del carattere e a rifiutare il ruolo femminile”. Il fenomeno si verifica sia nell’uomo che nella donna e risponde alla necessità di compensare un forte sentimento d’inferiorità, derivato da una situazione d’insicurezza e d’angoscia, dall’insoddisfazione per il proprio ruolo sessuale. La “protesta virile” rappresenta un artificio psichico generale del quale si serve un individuo per ottenere il massimo della sicurezza, per adeguarsi al suo ideale di personalità, per evitare qualsiasi tipo di esitazione o di differimento.

Adler collega la protesta virile essenzialmente con la nevrosi, dal momento che in tutte le situazioni nevrotiche, secondo lui, s’incontrano componenti psichiche femminili ben definite, contro le quali il soggetto combatte energicamente, considerandole segni di debolezza e di debilitazione, ossia, “inferiori”. Pertanto, la dinamica della nevrosi potrebbe essere interpretata così: “come se il soggetto volesse trasformarsi da donna a uomo e nascondere il suo difetto di maschilità”. Adler osservò che l’antagonismo fra le tendenze maschili e femminili, da un lato, e l’accentuazione della virilità, dall’altro, dominavano la neurastenia, l’isteria e la nevrosi compulsiva (questa era la nosografia psichiatrica del momento) e si osservavano anche, pur senza costituire alcun conflitto, nella psiche dell’uomo normale.

L’identificazione della mascolinità con la superiorità e quella della femminilità con l’inferiorità, non corrisponde affatto, secondo Adler, ad una disposizione innata, ma è un’acquisizione della cultura, spiegabile con il fatto che prima del patriarcato esisteva il matriarcato, l’organizzazione sociale nella quale era la donna a esercitare l’autorità e il potere. La predominanza delle prerogative maschili non è altro che il prodotto di un’illusoria valorizzazione trasmessa di generazione in generazione ai figli, attraverso l’educazione, e i figli, apprendendo, sin dai primi tempi della loro esistenza, che il padre (o il maschio in genere) rappresenta la categoria privilegiata, quella che svolge i lavori più apprezzati, quella che esprimere il potere in famiglia, quella che determina le funzioni più allettanti nell’ambito della società, orientano le loro aspirazioni verso gli ideali della maschilità, disdegnando le attività femminili, relegate in posizione marginale nella scala dei privilegi.

Con il correre del tempo e con lo sviluppo progressivo della sua teoria, Adler sostituì via via il principio di “protesta virile”, che utilizzò solo riferendosi alle donne che si ribellavano al ruolo femminile, con quelli di “desiderio di emergere”, di “volontà di potenza” e di “aspirazione alla superiorità”, ritenendo il concetto originario molto limitato dal punto di vista terminologico e capace di generare confusione.

Diventa perciò la nozione di volontà di potenza uno dei cardini teorici più significativi della dottrina adleriana.

Francesco Parenti definisce la volontà di potenza, come «l’energia che indirizza l’uomo, a livello conscio e inconscio, verso finalità di elevazione, di affermazione personale, di competizione o almeno di autoprotezione e di sopravvivenza».

L’approccio Individual psicologico pone a fondamento delle proprie concettualizzazioni teoriche uno stato di inferiorità che contraddistingue l’uomo, non solo nel suo percorso ontogenetico, ma anche in quello filogenetico. L’uomo primitivo infatti, constatando la propria inferiorità biologica rispetto agli altri animali e alle forze della natura, ha realizzato delle linee di crescita che gli consentissero l’adattamento e la sicurezza: lo sviluppo di una vita sociale complessa, di facoltà cognitive e di un linguaggio articolato per comunicare rappresentano delle modalità di superamento della condizione di inferiorità, delle vie di compensazione attive e costruttive. La necessità di vivere in gruppi è funzionale alla difesa dai pericoli esterni e lo sviluppo delle capacità mentali ha reso l’uomo in grado di costruire mezzi per affrontare e controllare l’ambiente.

Adler scrive: “l’uomo, dal punto di vista della natura, è un essere inferiore. Ma questa inferiorità, che è congenita e di cui egli ha coscienza come di una limitazione e di una insicurezza, agisce proprio come un impulso… per provvedere a creare una situazione in cui gli svantaggi della posizione umana nella natura possano apparire colmati: ed è il suo organo psichico quello che ha la capacità di realizzare l’adattamento e la sicurezza“.

La compensazione si configura perciò come l’insieme delle modalità con cui la volontà di potenza si propone di superare o aggirare un sentimento d’inferiorità (Parenti, 1983) all’interno di una dinamica basso/alto in cui l’individuo aspira a mete di superiorità e di perfezione.

In analogia con quanto proposto per lo sviluppo filogenetico, lo sviluppo del bambino segue lo stesso dinamismo, individuando nel sentimento di inferiorità lo stimolo per il suo superamento grazie all’utilizzo di meccanismi di compensazione.

Fin dalla nascita il bambino avverte un senso di inadeguatezza, di fragilità, di inferiorità, avvertita come limitante e pericolosa per l’esistenza, da cui è spinto ad uscirne compensando verso un ideale di superiorità che gli permette di dominare la realtà, senza esserne schiacciato.

Quanto più forte e intenso è il senso di inferiorità, tanto più grande è il bisogno di ricorrere a una linea di orientamento, che emergerà sempre più distintamente e avrà come fine ultimo la sicurezza”  (Ansbacher H., Ansbacher R., 1956).

Secondo Adler la struttura psichica è in grado di compensare tanto un sentimento di inferiorità, quanto una reale inferiorità d’organo: “un sistema digestivo inferiore può appellarsi, nei rapporti col nutrimento, alla forza della struttura psichica, diventando superiore anche in tutto ciò che è correlato al cibo. L’istinto della nutrizione sarà talmente forte da manifestarsi in tutti i rapporti personali e sociali come nell’amore per la buona tavola, nel desiderio di acquisizione, nella parsimonia e nell’avarizia” (Ansbacher H., Ansbacher R., 1956).

Tale movimento basso/alto è fondamentale per permettere all’individuo di giungere alla consapevolezza delle proprie risorse e quindi di un progetto di vita che sia adeguato e costruttivo. L’acquisizione di competenze nel corso dello sviluppo rientra in quel naturale processo di compensazione tramite cui l’individuo è in grado di passare da vissuti di inadeguatezza alla sensazione di avere valore e di essere capace, strutturandosi sulle reali possibilità della persona in un contesto di apertura all’altro, o come intende Adler, sul lato utile della vita. Tali compensazioni positive pongono quindi un effettivo rimedio al sentimento d’inferiorità, senza intaccare però il sentimento sociale, lasciando perciò spazio armonico ai rapporti interpersonali (Parenti, 1983). L’individuo, con un grado variabile di autocoscienza, prende atto della propria insicurezza e mette a punto delle strategie per farvi fronte, sino a raggiungere una relativa stabilità interiore ed un equilibrio con l’ambiente. Situazioni che rientrano in tale tipologia di compensazione sono rappresentate ad esempio da persone affette da oggettive limitazioni sensoriali (cecità, sordità) che sviluppano in modo molto intenso gli altri sensi cosi’ da ribaltare il difetto o casi in cui un individuo compensa le difficoltà in un ambito della vita, come ad esempio la relazione di coppia, con i buoni risultati in altri campi (artistico, lavorativo o sportivo).

In modo opposto, quelle compensazioni che si inseriscono sul lato inutile della vita, sul versante antisociale, vengono considerate negative e, senza rientrare propriamente nella dimensione di patologia, scandiscono tratti disturbanti del carattere come l’avarizia, l’egoismo o la vanità (Parenti, 1983).

Quanto fino ad ora detto presuppone un senso di inferiorità naturalmente esperito dal bambino e dall’adulto, una fragilità ontologica esistenziale. Nel momento in cui a questa naturale inadeguatezza si aggiungono nell’infanzia ulteriori situazioni di sofferenza, il bambino si trova in preda a profondi vissuti di angoscia e sentimenti di non valere niente, organizzando in tal modo un complesso di inferiorità.

Diversi sono gli elementi che concorrono all’aggravamento del sentimento d’inferiorità come lo scarso affetto e disponibilità dell’ambiente relazionale, l’inefficace valorizzazione del bambino, sia come mancanza che come eccesso, la presenza di aspettative irrealistiche o di confronti eccessivamente competitivi o ancora la difficoltà nell’acquisizione di competenze efficaci.

Da questo stato di estrema sofferenza l’individuo cerca di uscirne mettendo in atto meccanismi di supercompensazione che perseguono obiettivi inconsci di perfezione e onnipotenza, unica strada individuata per affrontare il mondo e garantirsi la sopravvivenza. Le supercompensazioni necessitano di evitare i collaudi della realtà in modo da mantenere intatta la superiorità fittizia, che assume connotazioni grandiose e irrealistiche, all’interno di un contesto di isolamento e di svalutazione degli altri. Persone con una struttura supercompensatoria cercano costantemente di non entrare in situazioni di prova che potrebbero svelare la funzionalità della grandezza del Sé, facendole ripiombare nell’estrema inferiorità da cui la supercompensazione era partita. Ciò significa che questi meccanismi “si spingono oltre la semplice neutralizzazione dell’inferiorità di base, proponendosi mete particolarmente ambiziose o addirittura un esasperato dominio sugli altri” (Parenti, 1983).

Le dinamiche appena illustrate mettono chiaramente in luce la dimensione patologica delle

supercompensazioni, ma non tutte sono negative, come nei casi di personalità geniali: “quando la supercompensazione tende a realizzarsi in un modo culturalmente accettato, e in questo sforzo percorre sentieri nuovi anche se difficili e spesso proibiti, si hanno quelle grandi manifestazioni della psiche che dobbiamo ricondurre al genio” (Ansbacher H., Ansbacher R., 1956).

Quanto esposto mette in luce il ruolo e le funzioni dei meccanismi di compensazione all’interno dei dinamismi basso/alto che contraddistinguono la vita psichica, evidenziando come l’ottica migliorativa, verso cui l’uomo è orientato, vada ancorata a una reale consapevolezza ed accettazione di sé e dei propri limiti per realizzare un benessere personale e collettivo.

 

Bibliografia

ADLER, A., La cooperazione tra i sessi – Scritti sulle donne e sugli uomini, sull’amore, il matrimonio e la sessualità“, Edizioni Universitarie Romane, Roma, 2001.

ANSBACHER, H. L., ANSBACHER, R. R., (1956),”La Psicologia Individuale di Alfred Adler“, Martinelli, Firenze, 1997.

PAGANI, P.L., (2006), “Dalla pulsione aggressiva al sentimento sociale : sulle tracce del pensiero di Adler”, Rivista di Psicologia Individuale, n. 60, pp. 5-36.

PARENTI, F., (1983), “La Psicologia Individuale dopo Adler“, Astrolabio, Roma.

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