Autore: Alfred Adler
Titolo: Cos’è la psicologia individuale
Editore: Newton & Compton Editori, Roma, 1976
Il testo si propone, nell’intenzione dell’Autore, come un perfezionamento dei suoi scritti precedenti.
Adler riconferma qui che ogni individuo, sin dalle prime fasi della sua esistenza, tende a compensare le sue insufficienze fisiche o maturate dall’ambiente, mettendo a punto una meta prevalente e strutturando a suo sostegno una complessa risultante di opinioni e di modalità comportamentali. Egli aggiunge poi che, alla base delle sue scelte, è sempre possibile scoprire una peculiare concezione interpretativa del senso della vita.
Adler afferma come l’uomo sia condizionato da tre vincoli principali durante il corso della sua esistenza. Il primo è rappresentato dal substrato obettivo e fisico del “pianeta Terra”, in cui siamo costretti a vivere. Il secondo è identificabile con i rapporti sociali, fattore obbligato dell’esistenza di ogni individuo, sempre collegata, nei suoi aspetti positivi e negativi, a quella dei suoi simili. Il terzo deriva dalla suddivisione in due sessi dell’umanità e dalle conseguenti interpretazioni di carattere fisiologico, affettivo e interpersonale.
L’autore afferma, inoltre, come nessuna esperienza è la causa di un successo o di un insuccesso, noi non soffriamo per un trauma, ma ne ricaviamo ciò che si adatta ai nostri scopi, siamo autodeterminati dal significato che attribuiamo alla nostra esperienza: secondo Adler “non esiste costrizione nè dovuta all’ambiente, nè all’ereditarietà.”
Dalla risposta che ogni individuo darà a questi problemi noi potremo comprendere quale sia la sua concezione individuale del significato della vita: una volta che si sia riusciti ad individuare ed a comprendere quale significato dà un soggetto alla vita, abbiamo la chiave per comprendere tutta la personalità.
La Psicologia Individuale sottolinea la concezione unitaria dell’uomo, tenendo quindi conto, con uguale attenzione, della psiche e del soma. In questo libro si ritrova un ampio capitolo dedicato al tema psicosomatico, che Adler affrontò da precursore, e in cui si evidenziando tutte le possibili modalità d’influenzamento reciproco che soma e psiche pongono in atto nell’ambito della normalità e della patologia.
Tanto la mente, quanto il corpo sono manifestazioni della vita che hanno reciproci rapporti nella totalità dell’esistenza. L’uomo si muove e non può quindi essere dotato solo di corpo, prevede e calcola in che direzione spostarsi, per questo ha bisogno di una mente. La mente governa il corpo finalizzando i suoi movimenti. C’è una meta da raggiungere. Però anche il corpo influisce sulla mente, è lui che deve essere mosso, e la mente può farlo muovere solo in armonia con le capacità che possiede o che può essere addestrato a sviluppare. “Corpo e mente cooperano come parti indivisibili di un tutto unico”. E tutto questo per conseguire un’ideale meta finale che dia sicurezza. Tutti gli errori psicologici consistono in un’erronea scelta della direzione del movimento, e tutti i sentimenti si adattano sempre al conseguimento della meta.
In questo libro Adler si propone anche di dare una definizione sistematica di concetti sui quali ha più volte insistito e che formano le basi della Psicologia Individuale. Primo fra tutti il complesso d’inferiorità: esso si manifesta quando un individuo deve affrontare un problema che non può risolvere in maniera adeguata ed esprime la sua convinzione di essere incapace di risolverlo. Il senso di inferiorità produce sempre una tensione e quindi si verifica necessariamente un movimento di compensazione che tende a trasformarlo in senso di superiorità, senza però avere la funzione di risolvere il problema, in quanto esso si manifesterà negli aspetti futili della vita ed il problema reale verrà soffocato. L’individuo restringerà il proprio campo d’azione preoccupato di evitare una sconfitta, non di darsi da fare per avere successo. E per far questo sceglierà il mezzo più consono al suo stile di vita e alla sua esperienza, il fine è comunque sempre lo stesso: “acquisire un senso di superiorità senza far niente per migliorare la situazione”.
Tutti i sintomi delle nevrosi, come appunto complesso di inferiorità e superiorità, rivelano un contesto entro cui il movimento è limitato. Il sintomo in se stesso è sempre perfettamente adatto a raggiungere quel determinato fine che il soggetto si è prefisso. La Psicologia Individuale è contro l’attacco al sintomo: se si riesce ad eliminare un determinato comportamento il soggetto troverà immediatamente una nuova strada per raggiungere il suo scopo. Perché finché la meta è la stessa egli deve continuare a perseguirla. Va individuato quindi sempre lo scopo che spinge ad adottare quel sintomo e se questo scopo è coerente con la meta generale di superiorità. Modificando lo scopo si modificheranno anche le abitudini e gli atteggiamenti mentali.
Il sentimento d’inferiorità non è anormale in se stesso, anzi spesso è la causa dei miglioramenti dell’umanità. Nessun uomo si troverà mai ad aver raggiunto la sua meta finale, ad essere padrone dell’ambiente che lo circonda, ma per l’individuo disposto alla cooperazione la lotta tende al bene comune e non ci sarà la preoccupazione per l’impossibilità di raggiungere la meta più alta, uno stato di sicurezza assoluta.
La Psicologia Individuale inserisce d’abitudine l’interpretazione dei primi ricordi nella fase iniziale del trattamento poichè essi forniscono le circostanze in cui si è cristallizzato lo stile di vita, ciò che l’individuo ha scelto come punto di partenza per il proprio sviluppo. Invitato ad esporre i suoi ricordi più antichi il paziente selezione personaggi e situazioni, luoghi e sentimenti; influenzato non solo dalla loro importanza presumibile in un dato periodo, ma anche dal suo stile di vita attule e dal suo “senso della vita” contingente. Non esistono ricordi casuali, i ricordi rappresentano la “storia di vita” che l’individuo ripete a se stessso per mantenersi sul suo scopo finale e per prepararsi ad affrontare il futuro con uno stile d’azione già collaudato. I ricordi non possono mai contrastare con lo stile di vita.
Per aiutare le persone a conoscere il proprio stile di vita e a correggerlo, se necessario, sono utili i sogni, in quanto la personalità è la stessa nel sogno e nella veglia, ma nei sogni la pressione delle esigenze sociali diminuisce e la personalità ci si rivela con minori protezioni e simulazioni. La Psicologia Individuale attribuisce ai sogni un ruolo finalistico e precollaudante, inquadrandoli come tentativi di saggiare lo stile di vita di fronte a situazioni ipotizzate: l’individuo sogna per cercare una guida per il futuro, una facile soluzione ai suoi problemi.
L’interpretazione dei sogni è sempre individuale per Adler ed è impossibile utilizzare una formula. Egli rifiuta di riconoscere un simbolismo prefigurato, ma ritiene che sia da tenere in considerazione è l’umore che il sognio ci lascia e la sua coerenza con lo stile di vita nel suo insieme. L’analisi dei sogni suggerita dalla Psicologia Individuale, essenzialmente centrata sull’esperienza di vita del paziente, può perferzionarsi appieno solo in una fase abbastanza inoltrata del trattamento.
Adler analizza, nel testo, le prime influenze esercitate sul bambino dalla famiglia e soprattutto dalla figura materna. Un bambino che possiede organi imperfetti a volte può raggiungere risultati migliori di bambini normali perché lo svantaggio può rappresentare uno stimolo a fare di più. Questo però succede solo se la mente trova la tecnica giusta per superare le difficoltà. Solo un bambino che non è sempre concentrato su se stesso riesce a compensare con successo le sue imperfezioni, e la capacità di cooperare si sviluppa per la prima volta nella relazione con la madre: è l’abilità della madre, o la mancanza della sua abilità, che influisce su tutte le potenzialità del bambino. Deve far sperimentare al bambino la prima presenza di un essere umano degno di fiducia e poi far si che il bambino estenda questo sentimento di fiducia fino ad includere tutta la società. Il complesso di Edipo, ad esempio, viene visto da Adler come il prodotto di un’educazione sbagliata. Il bambino desidera occupare tutta l’attenzione della madre e liberarsi di chiunque altro ma questo desiderio non è di natura sessuale, è un desiderio di controllo di un bambino viziato.
Il ruolo del padre è ugualmente importante, solo che all’inizio i suoi rapporti con il bambino sono meno intimi e solo in seguito diviene efficace la sua influenza; fra l’altro è sempre compito della madre suscitare l’interesse del bambino nei confronti del padre. Se la cooperazione tra i genitori è scarsa essi non possono insegnare al figlio a cooperare.
E’ ugualmente importante la cooperazione dei figli tra loro, poichè anche la posizione in famiglia lascia un’impronta indelebile sullo stile di vita.
Adler dà molta importanza anche alla scuola, che considera un’estensione della famiglia. La vita sociale ha bisogno di un grado di istruzione più elevato di quello che si può dare in casa. Quando il bambino inizia ad andare a scuola affronta una nuova prova che rivelerà qualsiasi errore esistente nel suo sviluppo. L’insegnante, possibile strumento di progresso sociale, dovrebbe cercare di correggere questi errori interessandosi al bambino, capendo cosa desta maggiormente la sua attenzione. Sarebbe utile, ad esempio, risaltare la finalità pratica di ciò che si studia, dando delle spiegazioni aderenti al resto della vita quotidiana. Adler a questo proposito parla anche dell’istituzione dei Consigli Consultivi che propongono una collaborazione tra scuola, famiglia e psicologi.
Nell’affrontare il tema della criminalità e della sua prevenzione, Adler assume una posizione propria, psicologicamente centrata sull’individuo e sul suo stile di vita, differenziandosi sia dal costituzionalismo, sia dall’ambientalismo. Egli riconsce l’importanza di fattori socio-economici nella genesi della delinquenza, ma non li considera sufficienti a determinare scelte devianti che si manifestano solo in una parte degli individui che hanno incontrato analoghe difficoltà.
I delinquenti, secondo l’autore, “non cooperano”, ovvero essi mostrano una resistenza alla cooperazione e alla compartecipazione emotiva interpersonale. Questo pare essere il risultato di una strutturazione precoce di un significato della vita egoistico e antisociale, con una meta diretta verso una fittizia superiorità.
Gli ultimi due capitoli affrontano il tema dell’occupazione e dell’amore e del matrimonio.
Il problema dell’occupazione assume un grande rilievo nei programmi preventivi e terapeutici della Psicologia Individuale. È appunto il senso della vita maturato durante lo sviluppo psichico ad influire in modo positivo o negativo sulle scelte professionali; pertanto è indispensabile inserire questo settore in ogni prospettiva di recupero psicoterapeutico, poichè il paziente presenta comunque, consciamente o incosciamente, la necessità di cooperare e sentirsi emotivamente inserito nella collettività.
Altro aspetto sui cui l’autore ritorna è la protesta virile, condizione espressa dalla donna che, sentendosi inferiore all’uomo, anche e soprattutto a causa della nostra cultura, disdegna l’idea di appartenere al sesso femminile. Spesso il disprezzo del ruolo femminile viene espresso più intensamente nel periodo adolescenziale, ma comunque la protesta virile si può esprimere con svariati tipi di comportamento, anche opposti (arrivando fino all’omosessualità, perversioni o prostituzione). Anche i ragazzi possono soffrire di protesta virile: sopravvalutano l’importanza di essere maschi considerando la virilità come un ideale che dubitano di essere abbastanza forti da raggiungere. L’importanza data alla virilità dalla nostra cultura può dunque creare difficoltà sia alla donna che all’uomo, soprattutto quando non c’è la convinzione del proprio ruolo sessuale. I bambini dovrebbero sapere subito a quale sesso appartengono, però Adler sconsiglia di dar loro informazioni sessuali superflue e non adeguate. È meglio aspettare che il bambino diventi curioso e ponga delle domande.
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